giallo

La croce di latta

Nel medesimo istante in cui, in una minuscola borgata della Val Chisone, viene alla luce una bambina non voluta, in un paese sui Peloritani un ragazzo riceve la chiamata alle armi, che lo spedisce sul fronte della Grande Guerra.

È l’inizio d’un racconto che si dipanerà lungo novant’anni, in un intreccio di vite e di generazioni, tra quotidianità e grandi passioni, amore e morte, cronaca e storia.

Una scrittura fluida e coinvolgente, che miscela sapientemente lingue e dialetti, alternando modi e registri narrativi, caratterizza questo romanzo di grande coralità, da cui scaturiscono personaggi difficilmente dimenticabili e soprattutto un affresco della storia del nostro paese, vista e vissuta dalla prospettiva di vite assolutamente normali.

Ogni vita del resto, compresa la nostra, ha in sé la dignità d’un romanzo, se solo trovasse una penna disposta a raccontarla, ma non sarebbe nulla, se non s’intrecciasse continuamente con altre vite, con altri romanzi. Perché, come dice uno dei protagonisti, «ognuno di noi è un frammento, indispensabile, del cemento che lega indissolubilmente le generazioni tra loro, la pagina non strappata, ma ogni volta rinnovata da nuova scrittura, del grande libro della storia».

La croce di latta

«È stata così piena di tante piccole cose la mia vita,

che a volte mi sembra persino che talune di queste appartengano ad altri,

tanto mi pare oggi quasi impossibile che possa averle vissute tutte io»

  

«Ci sono oggetti testimoni del tempo e dell’incedere delle generazioni; simboli silenziosi di un mondo che cambia e compagni di viaggio di coloro che, per un periodo li posseggono; fil rouge tra epoche e punti di riferimento per la costruzione delle identità. Non credo sia un caso che l’oggetto protagonista de La croce di latta (Culturnet edizioni 2016), attorno a cui s’intrecciano le esistenze dei protagonisti, faccia la sua comparsa legato proprio ad un filo rosso. Nel corso del libro si è coinvolti in un piano-sequenza dinamico e plurale che riesce a fissare su carta in maniera filmica uno spaccato della storia d’Italia del ‘900.

Tra le pagine si ritrovano la cedenza e la profondità storica di un Novecento di Bertolucci e la capacità narrativa delle vicende popolari de L’Albero degli Zoccoli di Olmi. Un libro che narra di incontri. Tra cattolici e valdesi nella marginale ma plurale Val Chisone; tra idee in tempi in cui le parole della politica dividevano creando dialettica; e ancora tra diverse provenienze geografiche in un’Italia in cui biografie lontane sono state cucite dalla storia.

C’è una filosofia di fondo – racconta Mauro D’Aveni, l’autore – che credo oggi sia in assoluta controtendenza: dare una voce letteraria e artistica ad argomentazioni di cui oggi non si parla più, comunità, integrazione, politica come nobile arte, ideologie. La nostra storia più vera, quella spicciola, era fatta di queste cose. Elementi che ciò che è diventato oggi il nostro modo di vivere ci hanno fatto dimenticare ad una velocità spaventosa“.

Un oggetto libro che con la sua fisicità di carta, voluta e ricercata, accompagna il lettore nella messa in fila dei cocci di una storia collettiva, polifonica, raccolta tra i pascoli di Pramollo o sotto le martellate di un fabbro alle pendici del Monti Peloritani, tra la polvere delle officine meccaniche o sul pavimento delle case degli emigranti». Matteo Scali, L’Eco delle Valli Valdesi, aprile 2017

"Ecco un breve estratto del libro"

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